PERFETTA

Pubblichiamo una parte della tesi realizzata da Luca Meneghel, adesso laureato presso la facoltà di designe e arti di Bolzano, il quale ha svolto un lavoro di ricerca sul concetto di  bellezza dei nostri giorni.

E’ stato per noi un piacere sostenere questa giovane mente creativa, mettendo a disposizione la nostra linea di manichini Lipstick  che rappresentavano al meglio il concetto di bellezza che voleva esprimere.

Essendo una tesi molto lunga alleghiamo solo una parte, ma varrebbe la pena poterla leggere completamente.

Ringraziamo Luca Meneghel per averci resi partecipi di questo bellissimo lavoro.

PERFETTA, UNO SGUARDO SULLA BELLEZZA DI OGGI

Dopo aver preso coscienza di ciò che esiste nel mondo dei manichini ho dovuto scegliere il mio; le cose che cercavo principalmente erano tre.

La prima è che fosse donna, statisticamente l’ossessione verso la bellezza è ancora per la maggior parte femminile, la seconda caratteristica fondamentale è che il manichino fosse bianco, perché? Semplicemente perche il modello i bellezzain vigore qui e ora è con la pelle molto chiara, basta sfogliare un giornaledi moda per accorgersi che le modelle nere sono pochissime e quando ci sono sono per lo più testimonial più che vere e proprie modelle.

La mia protagonista, dovendo rappresentare l’astrazione della bellezza perfetta deve rispecchiare i suoi canoni ed inoltre se fosse stato un manichino nero sarebbe sembrato troppo un ombra. Come ultima cosa non volevo che il manichinofosse una ricostruzione del corpo umano, quindi niente manichini con capelli e viso “umano” ma fatto di plastica; è astrazione e astrazione deve rimanere.

Così la mia scelta è caduta su un manichino della collezione Lipstick dellaKingmanichini. Oltre ad essere molto poco umano, soprattutto nel viso, questo manichino da subito l’idea di essere un oggetto pregiato cosa che sicuramenterafforza il mio messaggio.

Con un po’ di fortuna ho preso i contatticon l’azienda che me ne ha forniti due per poter sviluppare la mia tesi.

Quello che ho fatto è stato iniziare a provare a far compiere determinate cose al manichino, la mia idea era quella di creare una realtà nel quale non fosse chiaro dove ci si trova realmente nel senso che volevo creare una finzione che stesse a metà tra il manichino come essere umano e l’umano come manichino, mischiando gesti molto umani con cose assolutamente artificiali. Così ho iniziato a fare delle prove, il primo problema che ho incontrato era che il manichino, ovviamente, era in posa fissa. Questo significache ogni singolo movimento, ogni piccolo dettaglio da modificare consisteva nell’unire diverse foto in Photoshop. La cosa mi spaventava parecchio perché non era assolutamente un lavoro facile, per ogni foto “finita” servivano almeno 4-5 scatti e una montagna di post produzione. In quanto prime prove queste erano completamente prive di cura estetica sia a livello di illuminazione sia di location ma così facendo mi sono reso conto di una cosa incredibilmente ovvia: il manichino non ha espressione,la forza delle mie foto doveva essere nel gesto. Dopo alcune prove, mi sono reso conto che ogni tipo di gesto e azione che non fosse solita per il manichino lo umanizzava moltissimo creando appunto quella situazione di mezzo che cercavo.

Un altro problema che si è subito posto era il “dove”. Avevo già un come e un cosa ma mancava la / le location nel quale ambientare il mio lavoro. Le prove che avevo fatto erano molto molto minimal, pavimento muro e nient’ altro ma forse non era la via giusta. Riprendendo appunto i lavori di Tim Wlker e di Annie Leibovitz ho pensato che avrebbe potuto aver senso creare uno scenario che fosse a sua volta uno scenario da sogno in modo da rafforzare il gesto che il manichino stava facendo.La foto che avevo scelto di ambientare era una delle poche che al momentoavevo e che funzionava cioè quella del manichino che si toglie il braccio.Il problema ora stava nel capire che tipo di location avrebbe potuto rafforzarequesto messaggio. Il gesto che il manichino compie è appunto il togliersi un braccio, senza guardare, con naturalezza come se fosse una cosa normale per lei cambiarsi i pezzi. Questo mi ha fatto pensare al gesto,molto più umano, dello svestirsi e quindi subito ho pensato ad una location molto casalinga. Ancora però non era abbastanza, ci voleva un passo più lungo, una casa non era quel mondo fiabesco che cercavo al che ho iniziato a cercare tra i negozi di Bolzano se qualcuno avesse degli spazi che si prestavano bene al mio lavoro.Solo dopo aver fatto la foto mi sono reso conto che era una cosa che non funzionava per niente; era esteticamente molto bella e attraente ma l’attenzionesi spostava dal gesto del manichino al contesto in cui era immersoe in più quest’ immaginario così spinto era così teatrale che richiamava la finzione del teatro e faceva perdere l’ambiguità del manichino-umano richiamando anche il mondo della fotografia di moda nel quale nulla di ciò che vediamo è vero. Io in questo caso non volevo perdere l’attaccamentocon un minimo di realtà (ragione per cui ho escluso come sfondo il limbo fotografico).A questo punto la scelta del dove tornava quasi alle mie prime prove: volevoun pavimento chiaro, un muro bianco e nient’ altro. Nulla doveva distrarre dal manichino e dal suo gesto, nè il posto nè i vestiti. Tutto dovevaessere neutro e pulito pur rimanendo un posto vero e non un limbo bianco. Pubblichiamo una parte della tesi realizzata da Luca Meneghel, adesso laureato presso la facoltà di designe e arti di Bolzano, il quale ha svolto un lavoro di ricerca sul concetto di  bellezza dei nostri giorni.

Dopo aver appurato dove scattare le mie foto definitive ho continuato ad andareavanti facendo delle prove per scegliere poi la serie che avrebbe fatto la mia mostra.L’idea che avevo era quella di lavorare sia sulla percezione di sè che sulle tracce della chirurgia estetica che sull’atto della chirurgia estetica ma portatoall’esagerazione.Questo mi permetteva di oscillare tra una realtà nella quale il manichino è umano e una nella quale l’umano è manichino con tutte le possibili sfaccettatureintermedie. Lo spettatore così, guardando queste immagini, reprime il suo io e si proietta nel soggetto della mia storia che è l’estremizzazione della rappresentazione della donna semplicemente come oggetto. Questo è quelloche nella storia dell’arte è sempre successo, la donna non era ne l’artista ne lo spettatore ma soltanto ciò che era guardato e questo, ovviamente, la trasformava in qualcosa di non umano subordinata a ciò che l’artista voleva e ciò che lo spettatore recepiva. Il mio progetto gioca anche su questo: il soggettodel mio racconto è in uno spazio a metà tra la completa mercificazione del corpo che dipende dalla scelta di eliminare completamente le persone in favore di un’ astrazione del corpo, e il ridare vita “umana” ad un oggettoinanimato. Il manichino è umano nella gestualità e nel pensiero ma allo stesso tempo non è una cosa viva, questo si nota nelle foto nel rapporto tra corpo e viso: il corpo è completamente umanizzato e contrasta con un viso che invece è privo di ogni espressività, in questo modo le foto richiamano la perfezione del corpo idealizzato e artificiale senza però staccarsi da un immaginario umano.La stessa ambivalenza c’è anche nel ruolo del manichino verso chi guarda infatti le azioni mostrate dal manichino sono solitamente qualcosa che non va mostrato ma allo stesso tempo il soggetto, essendo un manichino, è molto lontano dal voyeurismo in quanto è un oggetto che nasce con lo specifico ruolo di espositore.Anche attraverso questo sdoppiamento di ruolo del manichino nei confronti di chi lo guarda si rafforza il duplice significato del soggetto la cui natura è sempre meno definita e dipende sempre di più da quanto lo spettatore stesso riesce ad identificarsi all’interno della storia. Il manichino sarà tanto umano quanto chi guarda riconoscerà come sue le azioni mostrate (principalmente all’inizio della storia) e, dopo essere diventati quel manichino, lo spettatore gradualmente diventerà un oggetto che ha comportamenti tipici di quell’oggettoallontanandosi da ciò che è realmente umano.

L’IMMAGINARIO FEMMINILE

Volendo dividere il mio lavoro per macro temi il primo è sicuramente il confronto tra il manichino e il modello di bellezza proposto. Qui la nostra protagonista è ancora molto umana, guarda le foto, prova ad imitarle e si sente oppressa. Ho sempre scelto di usare come immaginario femminile delle foto di donne e non di manichini per accentuare sia l’umanità del manichino sia l’artificialità del modello proposto. Il manichino infatti le guarda e vuole essere una di loro ma non vuole essere umano.

PERCEZIONE DI SE’

Anche lavorare sulla percezione di sè vede il manichino ancora molto umano che questa volta, dopo un confronto con l’ideale di bellezza si riguardae vede come fallimentari i sui tentativi di imitare la perfezione.È questo il passaggio chiave della mia storia, tutto ruota intorno a come ci si vede e come questa errata visione di se possa produrre problemi, in questo caso l’immaginare difetti che non esistono fa scaturire nel manichinouna voglia di cambiare e di raggiungere la perfezione che tanto brama.

TRACCE

Nei segni lasciati dalla chirurgia plastica il manichino è già più manichino:seppur le tracce siano segni di pennarello del chirurgo o cicatrici sul corpo il modo in cui sono proposte è molto più artificiale. La cicatrice è un solco pulito e non livido più come un taglio che poi è stato richiuso nella plastica che una ferita che si sta cicatrizzando. Questo è il momento della storia in cui il manichino prova realmente a modificare se stesso nel modo in cui un essere umano potrebbe farlo cioè attraverso la chirurgia estetica.Anche questo passaggio non modifica mai la forma della protagonista, che partendo da una base perfetta continua a provare a migliorarsi senza però effettivamente cambiare.

TRASFORMAZIONI

Nell’ultima categoria invece il manichino, seppur atteggiandosi da essere umano non ha assolutamente più un comportamento da uomo. La chirurgiaestetica è portata all’eccesso, non è più una piccola modifica ma consiste nel cambiarsi i pezzi, comprare borse di pezzi nuovi o strapparsi la pelle vecchia. Anche qui non c’è un effettivo cambiamento del soggettoma soltanto un estremizzazione della sua ossessione che non porta ad alcun risultato se non quello di incrementare se stessa.



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